Collaboriamo troppo?
Il lavoro sincrono è per sua natura positivo? La collaborazione ha un peso eccessivo nelle giornate lavorative? La collaborazione può avere effetti collaterali sistemici?
85% del proprio lavoro è svolto in modalità collaborativa, 50% in più rispetto a dieci anni fa
3-5% dei dipendenti creano il 20-35% della collaborazione ad alto valore aggiunto
La collaborazione non è solo un fenomeno passivo (vengo chiamato per collaborare), ma attivo, causato da motivazioni spesso più psicologiche che di necessità aziendali
Eccessiva collaborazione non comporta solo un peso cognitivo per gli individui, ma anche una potenziale criticità a livello sistemico, e in particolare su dinamiche d’innovazione
A seconda delle necessità e degli obiettivi esistono diversi modelli di collaborazione
Eccessiva collaborazione non è solo improduttiva, ma potenzialmente dannosa per le dinamiche decisionali aziendali
Il peso della collaborazione, Dall-E, immagine mia
Negli ultimi dieci anni, il tempo utilizzato in attività collaborative (mail, meeting, IM, Chat) è incrementato del 50%1, raggiungendo circa l’85% del tempo totale nell’arco della settimana lavorativa; il sovraccarico collaborativo non solo compromette la performance individuale, ma espone i dipendenti a stress, esaurimento e un più alto rischio di turnover.2
La distribuzione del lavoro collaborativo tende a essere anche molto squilibrata: il 20-35% della collaborazione ad alto valore aggiunto viene da circa il 3-5% dei dipendenti. E’ interessante notare come colleghi considerati fonti d’informazione consolidate non siano necessariamente i colleghi più ingaggiati e promossi all’interno dell’organizzazione (grafico di seguito).3
Breve commento. Ovviamente il termine necessariamente è fondamentale in queste affermazioni: c’è una correlazione, ma non è una regola. I temi però sono due: il primo, chi collabora tanto può avere meno tempo a disposizione da dedicare ad attività che concorrono ai propri obiettivi lavorativi, o avere meno energia cognitiva per il lavoro al di fuori del momento di collaborazione; il secondo, le organizzazioni, in genere, promuovono i risultati individuali, non collaborativi (e individuale è il contratto, tendenzialmente i premi di produttività e individuali sono le promozioni e gli incrementi di salario).
Un individuo può mettere a disposizione tre tipi di risorse collaborative: informazionali, sociali, personali:4
Le risorse informazionali riguardano le conoscenze e le competenze che un individuo può condividere con altri. Questo include tutto ciò che è stato appreso, studiato, o sperimentato e può essere trasmesso attraverso documenti, manuali, database, o semplicemente attraverso consigli e discussioni: le risorse informazionali possono essere condivise senza che ciò comporti una perdita per chi le fornisce. Ad esempio, quando un dipendente condivide una sua competenza con un collega, non perde quella conoscenza; al contrario, potenzialmente arricchisce il proprio network contribuendo alla crescita collettiva.
Le risorse sociali si riferiscono alla rete di relazioni di cui un individuo fa parte, alla sua posizione all'interno di questa rete e alla capacità di mobilitare queste connessioni a favore di sé o degli altri. Questo include l'accesso a persone chiave, la capacità di influenzare decisioni o indirizzare il flusso di informazioni e risorse all'interno dell'organizzazione. La condivisione di risorse sociali può aumentare esponenzialmente l'efficienza e l'efficacia della collaborazione, permettendo alle persone di raggiungere obiettivi comuni con minor sforzo e in tempi più brevi, senza erodere il capitale sociale di chi offre tali risorse.5
Le risorse personali, che comprendono il tempo e l'energia individuale, sono di natura finita. A differenza delle risorse informazionali e sociali, ogni volta che un individuo dedica tempo a un progetto o a un'attività collaborativa, quel tempo non può essere impiegato altrove. Di conseguenza, la gestione delle risorse personali diventa un aspetto critico per mantenere l'equilibrio tra collaborazione ed efficienza personale.
La collaborazione non è solo richiesta: è ricercata. In un intervento del 2021 riportato da TED, Rob Cross, uno dei maggiori studiosi delle reti collaborative (Organizational Network Analysis), stila i 9 trigger più comuni che portano le persone a ricercare volontariamente necessità a cui rispondere investendo il proprio tempo.6 Cito:
My research shows we create roughly 50 percent of the collaboration overload problem in the form of the beliefs we hold. By “beliefs,” I mean the deeply held — and often unexamined — desires, needs, feelings, expectations and fears centered on how we assume we need to show up for others each day
I trigger:
Trigger #1: Il desiderio di aiutare gli altri
Trigger #2: Il senso di realizzazione derivante dal raggiungimento di obiettivi.
Trigger #3: Il desiderio di essere influenti o riconosciuti per la propria competenza
Trigger #4: Paura di essere etichettati come colleghi con performance medio-basse
Trigger #5: Necessità di avere sempre ragione
Trigger #6: Paura di perdere il controllo su un progetto
Trigger #7: Necessità di chiusura task
Trigger #8: Disagio con l'ambiguità
Trigger #9: FOMO (Fear of missing out)
Il tema della collaborazione non è solo individuale, ma sistemico, organizzativo. Negli ultimi anni, sul lavoro si svolgono il 60% di meeting in più rispetto al periodo pre-pandemico, e questo può essere un bene, ma anche un ostacolo alla produttività generale, in particolare per la generazione di nuove idee7.
La generazione di idee innovative soffre, infatti, la dimensione dei gruppi di lavoro collaborativo e, soprattutto, la propria omogeneità. Questi gruppi tendono a focalizzarsi su ciò che è già noto, tralasciando di esplorare prospettive uniche e diverse: questa tendenza alla conformità può portare alla prematura esclusione di idee promettenti, specialmente nei gruppi più numerosi, che spesso raggiungono un consenso su visioni consolidate, ignorando proposte innovative che potrebbero essere rivoluzionarie.
Un'analisi di oltre 65 milioni di articoli scientifici, brevetti e progetti software8 conferma il fenomeno: team grandi sono meno inclini a sviluppare idee innovative rispetto a quelli più ristretti. Il fenomeno descritto di omogeneizzazione cognitiva nei gruppi collaborativi può spiegare fallimenti storici come quello di Swissair, la sottovalutazione di Netflix da parte di Blockbuster e il ritardo di Kodak nell'adottare la fotografia digitale.
Che i piccoli team siano più agili e permeabili all’innovazione è un tema discusso in letteratura.9 Pensiamo al numero di connessioni che un team può generare (e il relativo costo di coordinamento): in un team di 6 persone, si possono avere fino a 15 connessioni da gestire; se il team è raddoppiato a 12, il numero di connessioni incrementa a 66 (più di quattro volte tanto). Non a caso, il 60% del tempo utilizzato dagli individui è lavoro di coordinamento (work about work), con un conseguente accumulo annuale medio stimato di 103 ore di meeting non necessari, 209 ore di lavoro duplicato, 352 ore spese a parlare di lavoro da parte di singoli knowledge worker in tutto il mondo.10
La coesione dei team piccoli e le connessioni con altri team, Michael Arena
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, Vannevar Bush divenne responsabile dell'innovazione bellica degli Stati Uniti: il suo grande successo fu far collaborare ricercatori, fisici, innovatori con la macchina bellica statunitense - il film Premio Oscar Oppenheimer racconta uno dei tanti punti di contatto (la creazione, in quel caso, della prima Bomba Atomica). Il risultato finale fu il superamento della Germania Nazista (paese, all’epoca, più avanzato al mondo nella tecnologia bellica) da parte degli Stati Uniti.
L'intuizione principale di Bush non fu far lavorare assieme in modo continuativo i due mondi: non creò, se si può semplificare, un grande open-space né agende colme di meeting, ma tenne un forte livello di scambio tra team diversi, unito a quello che Safi Bahcall nel suo libro Idee Folli chiama una forte "separazione di fase".11 In breve: le idee devono incontrarsi, ma poi gruppi diversi devono rimanere separati perché possano fornire il massimo valore aggiunto dalle proprie capacità, senza lasciarsi trascinare in collaborazioni continuative. Questo equilibrio, nel libro, è denominato “Equilibrio Bush-Vail”, ed è il punto in cui un'organizzazione, per quanto grande e complessa, riesce a innovare e mettere a terra idee creative.
L’idea di costruire sistemi di collaborazione e innovazione efficaci non è domanda peregrina nelle grandi organizzazioni. Il tema della collaborazione non ha a che fare solamente con il proverbiale make things done, ma anche con il prendere decisioni, esplorare e confrontarsi su idee nuove, comprendere criticità da affrontare.
Secondo il già citato Are We Collaborating Too Much?12 , quando si deve decidere come organizzare un gruppo per risolvere un problema o generare idee, è fondamentale considerare due fattori: l'innovazione (quanto è necessario che i risultati siano innovativi piuttosto che incrementali) e l'esaurimento (quanto è importante esplorare tutte le possibili soluzioni per garantire di scoprire e sviluppare il miglior risultato possibile). Da questi fattori emergono quattro principali modelli di lavoro di gruppo:
Collaborative Committees: efficaci per promuovere il pensiero incrementale quando soluzioni innovative e ricerche esaustive non sono necessarie o possibili, ottimi per ottenere consensi e prendere decisioni rapide
Competitions: utili quando sono richiesti sia l'innovazione che un'esplorazione esaustiva (gli esempi includono il concorso di Netflix per migliorare il suo algoritmo di raccomandazione e le competizioni interne simili a Shark Tank di PayPal e L’Oréal per presentare idee innovative al management)
Specialized Innovation Squads: piccoli team specializzati (da 3 a 4 membri) quando sono necessarie idee innovative o disruptive. Amazon, per esempio, attribuisce molte delle sue innovazioni di mercato all'uso di piccoli team, regolati dalla Two pizzas rule13.
Coordinated Clusters: quando l'obiettivo principale è esplorare in modo esaustivo le opzioni, piccoli team coordinati da un ente centrale tendono a superare le prestazioni di un singolo grande team. Questo modello, adottato da Google per testare nuovi prodotti e da Amazon per esplorare opzioni di consegna dell'ultimo miglio, è meno incline a generare idee fuori dagli schemi ma permette un'esplorazione più approfondita e veloce.
Working Model Strength Matrix
Ma quindi, dobbiamo collaborare meno?
Forse sì, magari meglio, sicuramente in modo più efficace. Il remote prima e l’hybrid work dopo hanno aumentato i momenti di lavoro sincrono perché aiutati dalle tecnologie pervasive e da un’abitudine consolidata al meeting virtuale (meno costoso in termini di organizzazione e coordinamento).
Non è solo questo.
La collaborazione, nelle sue forme di team work, co-design, workshop e allineamenti, ma anche mail, call e chat, era un tema già discusso dall’accademia nel periodo pre-pandemico come un freno alla produttività, sistemica e individuale. Accanto all’evidente utilità dello sviluppo di un’intelligenza sociale e collaborativa nelle aziende, l’esagerazione può portare a uno stallo, una difficoltà di messa a terra a causa dell’aumento esponenziale dei costi di coordinamento all’incrementare del numero di colleghi in un gruppo di lavoro, e alla perdita di percezione dei decisori e delle responsabilità.
How to Fix Collaboration Overload, Rob Cross, Michael Arena, Greg Pryor, Rebecca Hinds, e Tim Bowman, HBR, 9 dicembre 2022, LINK
Idem
Idem
In un progetto che ho seguito personalmente, e di cui non posso citare il cliente né dare riferimenti troppo precisi (o condividere i grafici), abbiamo notato un forte sovraccarico di richieste di problem solving su quei colleghi che avevano una rete sociale estremamente sviluppata all’interno dell’Organizzazione. Questo perché, cercando di dare una lettura critica al fenomeno, un’Organizzazione complessa come quella del nostro cliente richiedeva una conoscenza non solo dell’informazione specifica nella soluzione di un problema di processo, ma anche (o forse soprattutto) la conoscenza delle persone giuste da contattare per sbloccare o risolvere una certa situazione. Questo capitale relazionale è però fortemente collegato alla seniority aziendale dei singoli individui: più tempo si passa in un’azienda, maggiore sarà il capitale relazionale acquisito e di conseguenza la capacità di risolvere un problema facendo leva sul proprio network interno; questo significa meno accesso alle informazioni per innesti nuovi (a qualunque livello di assunzione si presentino) e potenziale perdita di informazioni difficilmente condivisibili in caso di uscita dall’azienda.
Are you suffering from collaboration overload? 9 beliefs and fears that help drive it, Rob Cross, TED, LINK
Large teams develop and small teams disrupt science and technology, Wu, L., Wang, D. & Evans, J.A. Nature 566, 378–382 (2019), LINK
Consiglio la lettura di The Disruptive Nature of Small, Cohesive Teams, Michael Arena, HR Exchange, 15 novembre 2023, LINK
How work about work gets in the way of real work, Molly Talbert, Studio Asana, 18 gennaio 2024, LINK
Safi Bahcall, Idee Folli, 2019. Molto brevemente: Safi Bahcall usa la metafora dell’acqua e del ghiaccio per spiegare la sua idea di collaborazione; l’acqua rappresenta l’innovazione, i team disruptive, le organizzazioni dinamiche, mentre il ghiaccio le strutture, i processi, la capacità di organizzare il lavoro. Nella sua idea, le organizzazioni devono essere sempre intorno agli zero gradi centigradi: un po’ acqua e un po’ ghiaccio, sapientemente miscelati per avere il meglio di entrambi i mondi (l’innovazione da uno e la capacità di metterla a terra dall’altro)
Are We Collaborating Too Much?, Dan Singer, Martin Reeves, cfr. nota 7
I team di lavoro devono essere costituiti da un numero massimo di persone che possano essere soddisfatte da due pizze per la pausa pranzo