Lo Spazio può cambiare il Pianeta?
La Spacetech è importante? La democratizzazione dello spazio è un trend che cambierà il settore? L'Italia e l'Europa hanno un ruolo geopolitico nello spazio?
Immaginare lo Spazio dà le vertigini: pensare a un ambiente che si sviluppa su dimensioni infinite oltre la crosta terrestre crea un fascino magnetico, per scrittori e registi hollywoodiani naturalmente, ma anche per chi vuole esplorare i futuri possibili della nostra specie.
Immaginare lo Spazio in stile brutalista, ChatGPT
Lo Spazio ha anche un valore enorme per il nostro Paese: in un report a firma Intesa Sanpaolo, novembre 2021, si riporta l’Italia a quota 6,9% (media 2015-2019, dati in dollari correnti) sulle esportazioni mondiali, posizionandosi al quarto posto tra i principali leader del settore.1
Per questa ragione ho intervistato Raffaele Mauro2, Partner di Primo Space, fondo Venture dedicato alla Spacetech, e co-autore de I Cancelli del Cielo, un saggio breve sulla geopolitica dello spazio alla luce della New Space Economy, la grande corsa allo spazio che da un decennio a questa parte sta interessando il globo.3
Copertina del libro
Partiamo dal tuo lavoro: Partner di Primo Space, parte del fondo Primo Venture. Ti occupi di Spacetech, e un po’ sembra una puntata di Star Trek: in poche parole, come definisci il tuo settore?
Ti darò una doppia definizione. Io lavoro nell’interazione tra due nicchie: una è il Venture Capital, l’altra lo Spazio. La prima è una nicchia della finanza dedicata a supportare le imprese nella prima fase del ciclo di vita, e soprattutto quella categoria di imprese che sono ad alto rischio, ma anche ad alto potenziale di crescita; il VC è all’origine di quello che è un po’ il sistema nervoso del capitalismo contemporaneo, che è internet.
Per la seconda, lo Spazio, fino a pochi anni fa non esisteva il Venture Capital: era un ambito percepito come troppo rischioso, troppo complesso, troppo di lungo termine. Oggi, invece, abbiamo un’ondata di imprenditori e imprenditrici che stanno lanciando imprese tecnologiche nel settore spaziale, la cosiddetta Space Economy, generando una forte domanda di capitale per poter essere più veloci e crescere rapidamente.
Quando parliamo di Space Economy, parliamo di tutto ciò che riguarda il nuovo utilizzo commerciale dell’ambiente spaziale. Parlo di ambiente spaziale e non industria aerospaziale, perché oggi è un’entità molto ibrida, che ha tante industrie che si vanno a interconnettere con l’agricoltura, la logistica, le telecomunicazioni, la protezione dell’ambiente,…, ed è un settore ad alta profondità tecnologica, sia in termini di hardware che di software, cybersecurity, 3D Printing, e così via. E’ un settore molto vasto che sta crescendo molto rapidamente, contaminando altre industrie e numerosi settori.
Il tuo libro si focalizza molto sul tema geopolitico, e in qualche modo questo rientra nel modo in cui descriviamo il nostro mondo e la nostra società (grandi potenze che si fronteggiano negli spazi geografici a disposizione). Ma la domanda è: per quali altri ambiti lo spazio è importante, al di là del tema geopolitico?
Possiamo citare almeno tre o quattro grandi ambiti per cui lo spazio è sempre stato importante, e lo è da decenni: le telecomunicazioni (radio, televisive), l’accesso a internet (oggi lo spazio si sta fondendo anche con l’infrastruttura internet grazie alle costellazioni come Starlink, che ti portano l’accesso anche in zone rurali, in aereo, nave,…), ma non solo: oggi un settore che sta assumendo sempre più rilevanza è quello dell’osservazione della Terra, per cui grazie ai sensori satellitari puoi captare immagini o registrare video su quel che accade a terra in tempo reale, e lo possiamo immaginare per l’agricoltura (monitoraggio dello stato delle coltivazioni, l’irrigazione dei campi), ma anche per la protezione dell’ambiente, l’inquinamento degli oceani, dell’aria,…, ovviamente per l’ambito meteorologico.
Un altro macrosettore è quello delle tecnologie di posizionamento, che noi oggi diamo un po’ per scontato: noi usiamo la tecnologia spaziale ogni giorno, quando apriamo una mappa con lo smartphone, quando ordiniamo food delivery, in generale per identificare qualunque tipo di coordinata a terra.
All’inizio del libro citi Interstellar, uno dei miei film preferiti, e in particolare una parte che mi è molto a cuore: gli insegnanti della piccola Murphy che dicono che la Terra ha bisogno di contadini e non di ingegneri, e quindi di una generazione che se ne prenda cura e che non pensi ad abbandonarla o a guardare altrove (nel caso specifico, lo spazio). La mia domanda potrebbe risultare banale, ma è questa: secondo te, l’assenza del tema spaziale nel nostro dibattito, e in generale l’antiscientismo che si sta sviluppando in Occidente, potrebbe portare a un luddismo di ritorno, un luddismo che dice di guardare ai problemi della Terra prima di investire per temi legati allo Spazio?
Secondo me c’è questo rischio, e lo vedo nell’interconnessione tra due fenomeni. Il primo è che in alcune nazioni, e l’Italia è tra queste, l’istruzione scientifica spesso non è valorizzata perché non se ne percepiscono direttamente i benefici, così come nell’investimento in settori ad alta tecnologia, come può essere l’informatica o le scienze mediche. E questo perché non si riconoscono le ricadute nella nostra vita quotidiana. Faccio un esempio estremo: se oggi possiamo farci una TAC in ospedale è perché qualcuno, qualche anno prima, ha fatto esperimenti di fisica delle particelle.
Un secondo fenomeno, e a mio giudizio più globale, riguarda l’epoca in cui viviamo, un’epoca di incentivi che vanno tutti nella direzione del breve termine: e in questo senso penso alle notifiche sugli smartphone, ai cicli elettorali, al mercato azionario, alla maggior parte di attività in ambito sociale, culturale, economico. Questo va in contrasto con la mentalità che serve per il progresso, e cioè una visione di lungo periodo, in cui si deve lavorare in una serie di macro-ambiti con ritorni in là nel tempo, come le tecnologie quantistiche, intelligenza artificiale, ricerca genomica e, nel nostro caso, tecnologia spaziale. Su queste tecnologie non possiamo guardare a quello che accade tra una settimana, ma serve necessariamente una visione di lungo termine, ed è questo uno dei limiti fondamentali, ancora più del luddismo.
Possiamo dire quindi che è la visione di breve termine diffusa che sta facendo diventare il settore spaziale poco discusso?
Su questo ti correggo: non se ne parla molto in modo diffuso, è vero, ma la Space Economy è sempre più discussa ed è fortemente in crescita, sia in termini di budget privati che pubblici. Dopo un riflusso durato diverso tempo, nell’ultimo decennio è evidente che l’industria spaziale è ripartita in modo importante, sia per l’ambito civile che per la Difesa.
Nel libro parli di Space Baron pensando a Elon Musk, Jeff Bezos, Richard Brenson; è una definizione che mi è piaciuta molto. A me han ricordato un po’ la Compagnia Delle Indie Occidentali, che viene fondata a cavallo tra Settecento e Ottocento tra privati che hanno di fatto monopolizzato gli oceani. Stiamo assistendo a un fenomeno simile, aggravato dal fatto che le barriere all’ingresso sono molto alte, sia dal punto di vista tecnologico che di capitali necessari? Non c’è il rischio che si creino monopoli molto forti?
Secondo me sì, e tra l’altro il paragone con la Compagnia Delle Indie potrebbe non essere sbagliato: nel caso specifico, a una compagnia di privati era stato concesso dagli Stati la gestione di ambienti geografici lontani. Questo fenomeno potrebbe ripetersi, certamente, ma il contesto è cambiato perché questo scenario non è voluto dagli Stati contemporanei.
Penso a SpaceX. Oggi la società ha de facto una supremazia tecnologica unica, verticalmente integrata sulla filiera d’accesso alla bassa orbita e alla sua utilizzazione: hanno capacità di lancio con i razzi Falcon9 e le altre generazioni, hanno la più grande costellazione di satelliti mai creata con Starlink, hanno la migliore tecnologia per il trasporto cargo ed esseri umani, in questo momento la più efficiente con la capsula Dragon.
Ci sono alternative, certo, ma a qualità inferiori. E quindi accade un fenomeno paradossale: nel caso degli Stati Uniti, ad esempio, il regolatore pubblico sta cercando di assegnare contratti anche ad altri perché altrimenti sarebbe tutto preso da SpaceX. Questo approccio parte proprio dall’idea che alcune porzioni dell’ambiente spaziale, pensiamo anche all’esplorazione lunare, o altre potenziali esplorazioni di spazio profondo, vengano di fatto monopolizzate: gli Stati Uniti, quindi, stanno cercando di creare quantomeno un minimo di concorrenza, che porti magari inefficienza nel breve termine, ma crei efficienza nel lungo.
Molto interessante: si può dire che si stia cercando si spezzare il potenziale monopolio a monte piuttosto che regolarlo a valle?
Sì, esatto: è troppo alto il rischio di affidare infrastrutture così critiche a un singolo soggetto.
Dal tuo libro è molto chiara la contrapposizione tra Stati Uniti e Cina, così come l’ingresso dell’India nell’esplorazione spaziale e, tra gli altri, la Turchia, anche se con capitali insufficienti a concorrere con i giganti geopolitici. La mia domanda è: l’Europa, che ha certamente potenzialità e asset nella tecnologia e nel capitale umano necessario all’industria e alla sua supply chain, non ha uno storytelling europeo sullo spazio, e un rischio concreto di rimanere tagliati fuori a livello geopolitico, come in parte già siamo oggi. Pensi che una narrazione europea possa aiutare nell’idea di una corsa allo Spazio?
Sì, diciamo che servono due o tre elementi diversi. Il primo può essere lo storytelling, che potremmo declinare come cultura e ambizione europea, e cioè essere consapevoli che per contare nel mondo attuale, polarizzato tra i grandi blocchi politico-economici di Stati Uniti, Cina, India, la via dei singoli Stati europei non può portare a un ruolo rilevante nel futuro. Lo possiamo avere solo come continente unito, e prendere i treni che stanno passando, non solo per lo Spazio, ma anche per le tecnologie quantistiche, l’Intelligenza Artificiale, le biotecnologie.
Gli altri temi sono la visione a lungo termine, la consapevolezza della priorità di questo tipo di obiettivi, le masse critiche di capitale. E, non da ultimo, l’importanza delle imprese in questo settore.
Guarda ai successi degli ultimi vent’anni dell’industria spaziale americana: in parte derivano, certamente, dai finanziamenti pubblici, ma anche dal fatto che c’è un apporto di metodologie e di conoscenze da parte del settore privato che porta contaminazioni da altre industrie. Molto di quello che ha fatto, per citare un esempio, SpaceX, deriva dalla contaminazione con pratiche e metodi tipici delle industrie di internet: la generazione di startup spaziali che oggi sta cambiando il mercato utilizza tecniche di prototipazione rapida, gerarchie flat, metodi di lavoro agile, superando quel che era l’industria un tempo, ovvero silos di grandi aziende fornitrici delle agenzie spaziali che procedevano in modo molto rigido e burocratico.
Geopolitica dello spazio in infografica, ChatGPT
Però, possiamo dire, sul tema europeo c’è un altro tema che pesa. Sempre prendendo a esempio SpaceX, per poter competere a quel livello bisogna essere in grado di sopportare un rischio altissimo: cultura del rischio (e qui penso a Elon Musk in primis) unito alla disponibilità di capitali di un certo tipo è qualcosa che in Europa manca, o no?
Partendo dal tema dei capitali, ci sono diversi passi avanti: penso al lavoro che fa la European Space Agency, che è molto importanto a riguardo, o al Fondo Europeo per gli Investimenti che fornisce fondi a imprese private.
Si deve fare di più: abbattere quelle che oggi sono barriere geografiche e normative per creare un vero mercato dei capitali continentale, perché a oggi è frammentato tra nazioni, con pochissimi investimenti cross-border. Vero che in gergo si dice che non si dovrebbe investire in un’azienda che ha più di una o due ore di aereo da dove hai l’ufficio, ma in Europa abbiamo una frammentazione che è molto grave e molto forte, e questo ovviamente non facilita la crescita di imprese su scala continentale.
L’Italia dove si posiziona in tutto questo? Immagino sia un paese di forti competenze, come scrivi anche all’interno del libro, ma a livello generale?
L’Italia parte da una posizione favorevole: a differenza di altri settore in cui avevamo una capacità elevata e che nel tempo abbiamo perso (penso all’informatica o alla chimica), nell’ambito dello spazio c’è una base industriale che non si è erosa troppo nel tempo, fornendoci diversi pezzi di catena del valore nel nostro Paese. Abbiamo Leonardo, Thales, Telespazio, ma anche medie imprese come Argotec. E questo è un dato positivo. Inoltre, se guardiamo ai budget italiani verso la European Space Agency, sono tutti budget importanti. Possiamo dire che nel Paese abbiamo tutte le carte in tavola per poter partecipare al treno della New Space Economy.
Il rischio che vedo è che, come molti altri treni persi in passato, rischiamo di perderci anche questo per il fatto che storicamente l’ecosistema italiano non è mai stato veloce a reagire a cambiamenti legati alle tecnologie e alla globalizzazione: dobbiamo quindi essere rapidi nel cogliere queste opportunità.
Quali sono i segmenti più promettenti per il nostro mercato?
Sicuramente segmenti quali la Space Logistics, su cui lavorano imprese come D-Orbit, e il software, che è sempre più rilevante per l’ambito spaziale, così come per le industrie a terra (si dice che il software is eating the world, e oggi potremmo dire che il software is eating the cosmos), e quindi Intelligenza Artificiale. Ma c’è un altro ambito che a mio giudizio sarà sempre più rilevante, che è la cyber security per lo spazio in quanto è un ambiente dove il dato ha un valore commerciale elevato, e di conseguenza andrà protetto.
Per concludere volevo farti una domanda un po’ speculativa. Diciamo che domani riusciamo a colonizzare Marte e divenire una specie multi-planetaria; quali effetti avremo a livello psicologico, sociale, politico?
Wow [ride, ndr]. Diciamo che è molto difficile immaginare un impatto su cui si sono sforzati per decenni gli scrittori di fantascienza (e su cui tutt’ora riflettono). Ci sono varie forme di impatto che si possono verificare.
Penso a scrittori che immaginano che lo Spazio possa favorire un nuovo Far West, e quindi una nuova visione di indipendenza e anarchia, un vero spazio libero da esplorare e conquistare. Altri scrittori invece riflettono sul fatto che, essendo un ambiente dove servono investimenti enormi, divenga qualcosa gestibile solamente attraverso la strutturazione di grandi entità sovranazionali come imperi, e questa è un po’ la fantascienza classica.
Ovviamente non conosciamo la risposta, ma è bello immaginare e vedere che oggi ci troviamo in un momento di transizione, in cui parte di questo immaginario potrebbe tradursi in una realtà concreta. D’altro canto, l’accesso allo spazio si sta in parte democratizzando, sia per la spedizione di oggetti sia per il volo umano, che non è più solamente appannaggio di professionisti, ma, ad esempio, anche di turisti.
Oggi, la bassa orbita terrestre ha un livello di accesso senza precedenti, e costa sempre meno portare e operare sistemi in quell’ambiente: è interessante vedere come gruppi di studenti o startup possono portare in orbita un satellite e fare esperimenti, cosa che fino a pochi anni fa era molto più difficile.
Diciamo, per riassumere, che ci sono due forze in gioco. Da una parte, c’è la democratizzazione dell’accessibilità all’ambiente, e dall’altra la militarizzazione e la conseguente tensione tra stati. Quali delle due tensioni prevarranno? Difficile dirlo ora, ed è quindi difficile dire dove andremo.